LA NASCITA DI UN BAMBINO
Chi non si è, un giorno, interrogato sulla vita? Chi non si è, una volta, domandato che cos’è? Domande troppo ambiziose, e senza risposta. Ma a chi domanda, più modestamente: “Dove comincia la vita? E quando?” c’è una risposta, immediata, semplice quanto evidente: “La vita comincia con la nascita…”E ogni preoccupazione si dissolve. È un’evidenza? La vita comincia con la nascita…Veramente? Nel ventre, nel ventre di sua madre, il bambino non è già vivo? Non si muove? Non c’è dubbio, si muove. Molto prima di essere venuto alla luce, il bambino la percepisce. E sente. E dal suo oscuro rifugio tende l’orecchio al mondo. Sappiamo anche che egli passa dalla veglia al sonno. E che sogna! Per cui, a far cominciare la vita al momento della nascita si commette un errore grossolano. Ma cosa ha inizio, allora, quando il bambino viene al mondo? Che cosa, se non la vita? Ciò che ha inizio è la paura. La paura e il bambino nascono insieme. E non si lasceranno mai. La paura, compagna segreta, che non ci abbandonerà fino alla tomba.
Nel ventre della madre, la vita era di una ricchezza infinita. A prescindere dai suoni e dai rumori, tutto era, per il bambino, costantemente in movimento. Che la madre si alzi e cammini, che si giri o che si chini, che si alzi sulla punta dei piedi, che peli la verdura o usi la scopa, sono altrettante onde, altrettante sensazioni per il bambino. E, anche, che la madre si riposi, che prenda un libro e si segga, o che si corichi e si addormenti, la sua respirazione non cessa mai, il cui placido moto, la cui risacca, continua a cullare il bambino. E poi, passata la tempesta della nascita, ecco il bambino solo, nella sua culla. O piuttosto, in uno di quei piccoli letti che sono gabbie per neonati. Nulla si muove più! Il deserto. E il silenzio. Il mondo intorno è improvvisamente di ghiaccio, fisso, in una totale e terrificante immobilità. E poi, mentre di fuori si è creato un vuoto totale, ecco che dentro da qualche parte nel ventre qualcosa afferra, torce, morde…“Mamma, mamma!”Ah, quale terrore. Un lupo, nel ventre, e si chiama la fame. La fame, un mostro? La fame è una sensazione piacevole. Non è vero, forse? Che noi vediamo ripresentarsi, diverse volte al giorno, sensazione piacevole per noi, che sappiamo che tra poco mangeremo. Ma per il bambino? Il povero piccolo può muoversi? Può avvicinarsi alla dispensa? Può, come al ristorante, chiamare: “Cameriere, cameriere!” Lui non smette di gridare, e anche a squarciagola: urla, per far capire che dentro…E non arriva niente! Deve aspettare, e subire. E lasciarsi divorare dall’ansia. Fino a che, finalmente, nel deserto che è ora il mondo, di fuori viene qualcosa, che calma infine il mostro che si è svegliato dentro. Ecco il mondo diviso in due, dentro la fame, di fuori il latte.
Se i piccoli urlano, ogni volta che si svegliano, non è per i morsi della fame. Non muoiono d’inedia. Sono terrorizzati dalla novità della sensazione. Da quel “qualcosa dentro” che prende proporzioni immense proprio perché, di fuori, il mondo è morto. Bisogna nutrire i piccoli, non vi sono dubbi. Non solo il loro ventre, ma anche la loro pelle. E, in quest’oceano di novità, d’ignoto, bisogna fargli riprovare sensazioni passate, che sole per ore possono indurre uno stato di pace e di sicurezza.
Per lungo tempo ancora, il piccolo, ogni volta che si sveglia, prova lo shock di ritrovare il mondo al contrario: le sensazioni forti “nel” suo ventre e di fuori più niente! È essenziale ristabilire l’equilibrio. E nutrire il “fuori” con altrettanta cura del “dentro”. I piccoli hanno bisogno di latte sì, ma più ancora di essere amati e di ricevere carezze. Essere portati, cullati, carezzati, essere tenuti, massaggiati, sono tutti nutrimenti per i bambini piccoli, indispensabili, come le vitamine, i sali minerali e le proteine. Se viene privato di tutto questo e dell’odore, del calore e della voce che conosce bene, il bambino, anche se gonfio di latte, si lascerà morire di fame!
(Tratto da “Shantala”, di F. Leboyer)