CORPO E DISTURBI ALIMENTARI
Le persone tendono a far dipendere la stima di sé dal corpo e dall’insoddisfazione per il peso o le sue forme. In realtà, il senso di inadeguatezza promana dal corpo (inteso in senso fisico) ma spesso non lo riguarda: il problema non sta “nel” corpo, quanto nella sua controparte psicologica, le rappresentazioni o immagini attraverso le quali la persona valuta se stessa e attribuisce un significato (negativo) alla propria apparenza fisica, di qui l’incertezza per il proprio senso dell’identità e valore.
Pur così diverse tra loro, la condizione anoressica e bulimica condividono la stessa posta in gioco: la bilancia come prova del valore di sé. Immagine da contemplare o più spesso da temere, l’aspetto rappresenta in questi casi (e non solo in questi) la carta di credito con cui ci si propone al giudizio dell’altro, il più severo dei quali è quell’altro sé stesso che con voce critica e disapprovante sabota ogni tentativo di serena accettazione di sé. Ma come può nascere in certe persone l’idea angosciosa che il proprio corpo sia “sbagliato”? E come è possibile continuare a crederlo anche quando, a detta di altri, è perfetto? Aspetto e immagine di sé in molti casi divaricano drammaticamente, e la percezione soggettiva prevale e cancella ogni evidenza contraria. Il problema nei disturbi alimentari non sta nel corpo, né nella deformazione dei processi neurologici che presiedono alla sua consapevolezza, quanto piuttosto nella conflittualità che la persona intrattiene con le varie rappresentazioni e vissuti del proprio sé fisico. Non conosciamo il corpo solo per via dei sensi, ma per mezzo della facoltà di intendere che è in noi, non per il fatto che lo vediamo o lo tocchiamo, ma per la costruzione complessa che ne fa la mente. Concorrono a dar forma al sentimento per il corpo (visto che di sentimento si tratta più che di un’idea, proprio o improprio che sia) importanti processi di mediazione emotiva, cognitiva e simbolico-culturale. Le persone hanno bisogno di nutrire di senso il loro essere nel mondo. Elaborano immagini attorno a se stessi ed alla realtà di cui hanno esperienza, e facendo riferimento a tali immagini, orientano le loro linee di azione e attribuiscono significato agli eventi. Nello specifico, l’immagine che gli individui hanno di sé è correlata alle immagini che si vedono rinviare dagli altri per loro significativi. Essa è complessa perché diversi sono gli “specchi” in cui l’individuo si guarda. Il self, in tutte le sue articolazioni, quindi anche nella sua veste corporea, non è un’entità data, è l’esito di un processo interattivo. Anche il valore ed il significato dell’aspetto corporeo e della sua controparte psicologica, l’immagine di sé, sono sempre fluttuanti e transitori, poiché necessitano di un doppio sguardo di conferma, il proprio e quello altrui. Se il proprio utilizza i criteri normativi delle persone reali o immaginate per noi importanti, quello altrui non viene mai colto per ciò che è, ma è accessibile solo attraverso le proprie categorie interpretative, “è ciò che io penso di ciò che che tu pensi del mio corpo”. In che modo può essere migliorata la valutazione di sé e del proprio aspetto? Basta osservare come un’anoressica organizza la sua giornata per capirlo: è il cibo e poi lo sport le prime tentate soluzioni. Per piacersi di più in genere le persone si controllano di più, attraverso strategie alimentari e/o motorie, ma ciò non significa risolvere il problema. L’importante è un processo di accettazione e di autocompiacimento, che porta di conseguenza a sentirsi piaciuti dagli altri, e un percorso di consapevolezza che i veri problemi e nodi non stanno lì dove appare: anoressia, bulimia, alimentazione compulsiva non sono malattie del fisico e dell’appetito, ma della mente e della propria interiorità. Usare il cibo e il corpo per risolvere un problema di autostima non risolve niente, comporta solo anni di disagio, sofferenza interiore e frustrazione!