LA TERAPIA DEI DISTURBI ALIMENTARI
La cura dei disturbi del comportamento alimentare ha lo scopo di aiutare a riconoscere che il problema alimentare è un problema strettamente psicologico e non organico o di comportamento errato. Bisogna poi valutare le motivazioni della persona al cambiamento. Spesso un soggetto che soffre di un disturbo alimentare difficilmente riesce a cogliere il vero senso del problema che sta vivendo, soffre per le continue abbuffate, o per i digiuni ossessivi o per il sovrappeso, ma li considera semplicemente come un’errata abitudine alimentare che non riesce a eliminare, come uno schema routinario che non riesce a togliersi di dosso. E’ necessario invece lavorare e riflettere sugli aspetti che si celano dietro alla realtà dei fatti, cioè i motivi e le dinamiche interiori e psicologiche che mantengono il sintomo e la sua ragione di essere. Durante la terapia si chiede alla paziente di identificare i propri problemi su tre livelli: sintomi (“Mi abbuffo quando sono da sola”), percezione di sé (“Il mio corpo non mi piace”) e interazioni (“Non ho relazioni vere”), e di trovare delle alternative pratiche al modo di essere attuale che è fonte di sofferenza. Un altro punto importante nella cura è l’esplorazione del messaggio sintomatico. Mi spiego: l’anoressia, la bulimia, l’alimentazione compulsiva possono essere considerate come un messaggio, espressione di qualcosa che non va a livello relazionale. A ogni paziente viene chiesto di esplorare questo messaggio disfunzionale, esponendo i loro problemi relazionali e discutendoli con il terapeuta. Va anche osservato il messaggio che ciascuno manda a se stesso, analizzando i sentimenti e i vissuti che la persona prova verso di sé e aiutandola a modificarli in senso positivo. Ad esempio le bulimiche (così come le anoressiche e chi soffre di binge eating disorder) sono guidate nel loro comportamento da uno schema cognitivo ed emotivo altamente idealistico in cui domina l’idea della perfezione e del “tutto o nulla”; la prima ricaduta durante il percorso di cura potrebbe essere vissuta come il segno di un ennesimo fallimento e rinforzare i sentimenti di disistima e inferiorità. E’ necessario pertanto che il terapeuta ricordi continuamente alla paziente la possibilità di ricadute e la inviti ad affrontare il trattamento con gradualità. Un passo della terapia è rappresentato dal cambiamento dei modelli alimentari. Il fine è quello di tenere il sintomo sotto controllo. A tal proposito alla paziente vengono insegnate alcune tecniche di autocontrollo, invitandola ad esempio a tenere un diario dettagliato con la descrizione del tipo di alimentazione giornaliera, delle attività a esso connesso, dei pensieri e dei sentimenti che l’accompagnano. Il diario costituisce uno strumento per il monitoraggio del comportamento alimentare, dei pensieri e dei sentimenti che precedono il desiderio di abbuffarsi, per un primo autocontrollo dell’alimentazione. Lo scopo della terapia non è una drastica eliminazione delle abbuffate, ma un graduale autocontrollo dove le abbuffate potranno diminuire sia in frequenza che in quantità. Ma ciò ovviamente non basta: quello che è fondamentale è cambiare la percezione che la persona ha di se stessa e i vissuti verso di sé come soggetto di poco valore. Piano piano la percezione di sentirsi chiuso in gabbia senza riuscire a mutare alcunché della propria esistenza, solo con il sintomo e sopraffatto da esso, potrà evolvere e modificarsi in positivo, e certamente il controllo dell’alimentazione e la liberazione dai sintomi saranno causa e conseguenza di questo cambiamento (“Non sono più schiava del cibo, evviva, quindi vuol dire che sono brava e se sono brava non ho più motivi per essere schiava del cibo”, per dirla in termini semplici).
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