UNA TESTIMONIANZA: PENSIERI NEI DISTURBI ALIMENTARI
Vi regalo oggi la testimonianza di una ragazza che soffre di anoressia, forse vi ritroverete in tante cose e spero che presto possiate dimenticare di pesarvi, mangiare con gioia e senza pensare alle calorie, senza racchiudere i vostri tormenti dentro un corpo, un numero, un cibo…
“Stamattina ho dimenticato di pesarmi. Stamattina ho dimenticato di pesarmi.
Ho. Dimenticato. Di. Pesarmi.
Sembra una cazzata, ma lo faccio ogni cristo di mattina da più di un anno. E invece stamattina mi sveglia il mio ragazzo per un problema con la sorella e tra una cosa e un’altra ero a mangiare un kiwi. Ho pensato “Ho rovinato tutto”. “Adesso sarebbe inutile pesarmi”. “Devo aspettare domani mattina e oh mio dio è tra troppo tempo”.
Ho le mie cose che devono essere fatte con ordine, altrimenti sclero. Eppure è stato un po’ come quando, in particolare nel primo periodo della malattia, cedevo ad un particolare tipo di cibo (Nutella, dolci in generale) e pensavo che ormai era andata.
Quindi ho mandato tutto all’aria e mi sono fatta la doccia dopo colazione, invece che dopo pranzo come ogni lunedì. Ho sballato la mia giornata e me ne sono pure fregata. E tutto perché ho dimenticato di salire su una merda di bilancia.
Non so se sia salutare il fatto di pesarmi ogni giorno, perché quando non lo faccio vivo in una specie di limbo; mi chiedo se sono aumentata o no, e so che:
-se sarò aumentata, mi sentirei uno schifo;
-se sarò scesa – anche se la vedo dura – sarò felice;
Ricordo che il giorno dopo che ho deciso di riprendermi la mia vita, mi sono pesata ed ero 1.1 kg di meno. Ho pensato che fosse un bel regalo di compleanno.
Ora non lo so, e pensarci mi fa venir voglia di non mangiare o di vomitare e non posso permettermelo. Non ora. Non oggi, che la tentazione di digiunare era più forte. Eppure l’ho bellamente mandata a quel paese.
Ero uscita da canto con la voglia di un frappè al cioccolato. E’ una vita che non ne mangio uno, e lo volevo così tanto nonostante facesse un freddo boia. Ed era come se nella mia testa ci fosse una guerra: io lo volevo, ma l’altra metà, quella malata, mi convinceva che sarei sicuramente ingrassata. Non riuscivo a pensare sopra le voci, e alla fine mi sono convinta che semplicemente non potevo permettermelo. E poi ho gridato a mio padre “Voglio un frappè al cioccolato!” – non scherzo, ho letteralmente gridato e poco ci è mancato che andasse contro il muro. Ma mi ha accompagnata in gelateria e ho preso il frappè.
E me lo sono gustato. Perché mi andava. Ho mandato a quel paese i sicuri sensi di colpa futuri, la gastrite e tutti i santi che vi pare ma la soddisfazione… quella sì che è impagabile. Mi sono sentita fiera di me, come mai prima d’ora.
Piccola nota negativa: come già anticipato, stamattina ho mangiato un kiwi. Eppure dopo pranzo – io pranzo sempre dai miei nonni – hanno voluto assolutamente sapere chi aveva mangiato il kiwi. In casa c’eravamo solo io e mio padre, lui non li mangia, la risposta era ovvia. Però perché questo controllo? Se anche ne avessi mangiati un centinaio, a chi mai dovrebbe importare? Mi fanno sentire sotto pressione, grassa. Ammettere cosa mangio mi fa sentire di merda.
Sono stanca di essere me. Stanca di racchiudere dentro questo stupido corpo tutto il male.
Voglio essere quella persona che sorride ed è felice e ringrazia solo perché ce l’ha fatta a uscire da quel limbo.
Voglio togliermi la maschera senza temere il giudizio degli altri e ridere di quelle loro parole senza senso.
Voglio essere contenta di avere questo corpo, distruggere la bilancia e dire “mi piaccio così”.
Cosa significa mangiare qualcosa senza pensare alle calorie?
Cosa si prova ad assaporare, a gustare, ad amare il cibo?
Com’è non contare le calorie?
Lo ricordate? Lo sapete?
Io non lo ricordo più.
E mi chiedo se un giorno sarò in grado di rivivere ancora queste sensazioni.
E allo stesso tempo, non lo accetto.
Ho sempre ammesso con me stessa di avere qualche problema con il cibo, ma mi sono mai chiesta quanto sono gravi questi problemi? No. Perché ci vuole poco a mascherarli, per una persona come me. Ma cosa sono, se non una richiesta di aiuto, una richiesta di attenzioni, un grido senza voce di chi le parole le ha perdute?”
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