DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
Quando vado nelle scuole per il progetto di prevenzione dei disturbi del comportamento alimentare, lascio agli studenti dei test che valutano il loro rapporto nei confronti del cibo. Insieme poi ci confrontiamo sulle domande che paiono loro più assurde, più lontane dalla loro esperienza e quasi incomprensibili. Le domande che vengono menzionate come molto strane sono di solito: “Evito di mangiare quando sono affamato”, “Mi piace sentire che il mio stomaco è vuoto”. Un adolescente, in piena età della crescita, eternamente affamato, capace di mangiarsi anche 1 o 2 etti di pasta, non riesce a comprendere affermazioni come questa: come può una persona, si chiede, trarre piacere dal fatto di sentire lo stomaco vuoto o non mangiare quando si sente affamata? Eppure per chi soffre di disturbi del comportamento alimentare, il riuscire ad evitare di mangiare pur se affamati e sentire quindi lo stomaco vuoto è segno di grande forza e dà una sensazione di grande benessere. Come è possibile questo? Il meccanismo alla base di questo disturbo risiede nella capacità di controllo, chi soffre di un disturbo alimentare sceglie il controllo come surrogato di qualsivoglia piacere o traguardo che possa raggiungere nella propria vita. Quando una persona con l’autostima a livelli pari allo zero, che si sente incapace di modificare in positivo alcunché della propria esistenza, che si ritiene incapace di darsi soddisfazioni perché poco degna di stima e valore, comincia a controllare alcuni aspetti del proprio comportamento, ne trae grande gratificazione. “Béh, almeno in questo sono capace”, si dice. L’alimentazione, il controllo del cibo e di ciò che si mangia, diventa un campo particolarmente adatto ad esercitare tale controllo, perché -ormai quasi adulto e autonomo su questo versante- è un’attività che può controllare a piacimento. A ciò si aggiunge il fatto che controllando l’alimentazione, di solito nella direzione della restrizione, si ha un controllo del peso e di conseguenza una perdita di chili, che va ad aumentare il senso di soddisfazione e di autostima. “Che brava, così facendo, oltre a controllare l’alimentazione, sono pure riuscita a perdere peso!”, e oggigiorno ben si sa quanto sia visto come positivo l’avere un fisico asciutto tendente alla magrezza. Quindi, la persona che si sentiva una vera schifezza ha trovato la maniera (falsa) per sentirsi un po’ meno peggio con se stessa. O almeno, così credeva di aver trovato! In realtà, i propri vissuti interiori non cambiano affatto, e col tempo anzi si fanno sentire ancora più acuti: “Ma come? Pur avendo perso chili e controllando l’alimentazione, non sono felice e soddisfatta di me stessa?!”. Questo crea un circolo vizioso che incrementa ancor di più il sintomo: si sente maggiormente in difetto perché non riesce a stare bene con se stessa, i vissuti negativi aumentano (“Nemmeno così mi vedo bene, che disdetta!”), e spingono a controllare ancora di più l’alimentazione nella speranza di stare meglio. Purtroppo invece il sintomo accresce la delusione verso se stessi, spinge in un baratro di chiusura e di vuoto, che va assolutamente affrontato attraverso un percorso terapeutico per essere superato.
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