DISTURBI DELL’ALIMENTAZIONE
I disturbi dell’alimentazione nascono con un profondo senso di svalutazione personale, non si è mai sicuri di come si è fisicamente, intellettualmente, moralmente. Tutti i risultati ottenuti o i complimenti ricevuti, le rassicurazioni non servono a colmare la ferita. Nei disturbi dell’alimentazione il corpo diviene il teatro dove mettere in scena il dramma identitario e la svalutazione continua si manifesta attraverso l’incapacità a mantenere o ad ottenere il corpo ideale. Ma per quale motivo si ha bisogno di un corpo ideale, perfetto? Che differenza fanno quei due, tre chili in un corpo tutto sommato equilibrato, in armonia, che piace? Il sentimento svalutativo ha radici lontane, probabilmente fin dalla prima infanzia si è manifestato attraverso una ricerca ossessiva di consenso. Alla base della malattia c’è un’interruzione del dialogo corpo-mente e nella cura si deve favorire la ripresa di questo dialogo. Nei disturbi dell’alimentazione, compito del terapeuta che si pone l’obiettivo di restituire salute e benessere è quello di far leva sulle risorse che sono insite nell’organismo, senza le quali nessun processo di guarigione può essere innescato. La motivazione ad impegnarsi in un percorso di cambiamento, dai problemi con l’alimentazione alla guarigione, passa attraverso la consapevolezza di avere nelle proprie mani la possibilità di dare un corso diverso alla propria storia personale e, stabilendo una vera e propria alleanza con i terapeuti, con coloro che si impegnano a prendersi cura della persona con problemi alimentari, si decide di fidarsi e di affidarsi, condividendo il comune obiettivo di ottenere il sollievo dalla sofferenza.
Se il sintomo, nei disturbi dell’alimentazione, è espressione di una strategia difensiva e compensatoria finalizzata alla ricerca di un equilibrio, occorre non negarlo o sopprimerlo ma offrire “soluzioni” alternative più vantaggiose del sintomo disfunzionale e più orientate all’autoconservazione e al benessere. Il disturbo alimentare è l’urlo di un dolore profondo, di un disagio interiore trattenuto silente per troppo tempo; il cibo diventa il mezzo di espressione, ed il corpo è il teatro in cui mettere in scena quel dramma. L’anima si perde, il cuore e la mente non seguono più la stessa direzione, questo provoca all’individuo la perdita della relazione con il proprio “io” e con il mondo: una vita manovrata dal sintomo che chiude in una gabbia, intrappola in una via apparentemente senza ritorno, ma se si ha il coraggio di chiedere aiuto, di affidarsi a persone competenti, allora il ritorno ad una vita normale diventa possibile. Il sintomo alimentare è subdolo, lavora nell’inconscio, sul senso di insicurezza, sulla scarsa e direi quasi inesistente autostima, si approfitta di quel dolore atroce, ricattando; fa promesse meschine come protezione, controllo e bellezza, pienezza e senso di appagamento, ma tutto ciò è fasullo ed effimero, ben presto non arriva più. Nel momento in cui si entra a contatto col disturbo alimentare si firma la propria condanna a morte. Farsi aiutare prima che sia troppo tardi è l’unica speranza.
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