CURARE I DISTURBI ALIMENTARI
Come curare i disturbi alimentari? Come uscire da anoressia, bulimia e alimentazione incontrollata? Vediamo di capire…
La prima funzione dell’anoressia è l’espressione del sentimento di disvalore che la paziente sperimenta, e insieme la difesa che essa adotta contro l’onda crescente della sua sofferenza, che minaccia di sommergerla e che lei tiene a bada con il digiuno e il sentimento di lucidità e potenza che gliene deriva. Allorché il desiderio di potere fallisce nelle relazioni, la persona con disturbo alimentare va alla ricerca compensatoria di un potere nella relazione con il proprio corpo. La malattia è quindi una reazione difensiva.
La seconda funzione dell’anoressia è tipica della fase cronica, nella quale il soggetto precipita in una condizione di stallo. È l’esperienza di un’enorme capacità di controllo sull’ambiente (e in particolare sui genitori), acquistata attraverso l’accanimento nel protrarre le restrizioni alimentari e il dimagramento. Nei disturbi alimentari come bulimia e alimentazione incontrollata, invece, il sintomo diviene esperienza di una mancanza totale di controllo su di sé, ma nello stesso tempo unica fonte apparente di piacere.
L’obiettivo di fondo del trattamento è far evolvere la paziente da una condizione di impotenza e di confusione, in cui manifesta solo attraverso il sintomo la sofferenza che le proviene dalla posizione esistenziale insostenibile in cui è venuta a trovarsi, verso un’apertura al capire quanto è accaduto agli altri e a se stessa. Si tratta, cioè, di aiutarla a identificare i propri bisogni, a divenire protagonista consapevole delle vicende che hanno caratterizzato la sua storia personale, sostenendola a esprimere, nell’interazione con le figure significative della sua vita, le proprie richieste e le proprie critiche con un rinnovato sentimento del proprio diritto e valore.
Per i disturbi alimentari, l’obiettivo sarà quello di combattere il senso profondo di disvalore della paziente, placato solo dal tentativo di avere e di mostrare un controllo e un potere sovrumani, sfidando se stessa, la propria fame, il proprio corpo bisognoso, distruggendolo con vomiti e purganti. Sin dal primo contatto con la paziente e i suoi familiari si deve sottolineare in primo luogo la sofferenza personale che il sintomo alimentare esprime e quindi la necessità di capire la funzione del sintomo: “Quale disagio di fondo è curato ora dal disturbo alimentare (anoressia, bulimia, o alimentazione incontrollata)?”.
È obiettivo terapeutico primario quello di decentrare l’attenzione di paziente e familiari rispetto al sintomo e di aiutare la paziente a rinunciare alla sua difesa ossessiva, cioè l’essere focalizzata solo su tipi di cibi, calorie, peso, mangiare, eccetera.
Nella loro estrema magrezza, o nell’abbandono al cibo, credono di aver trovato la soluzione perfetta dei loro problemi, pensano di poter ottenere così il rispetto che è loro mancato per tutta la vita. Non si lagnano della loro condizione, al contrario, se ne gloriano, oppure si lamentano, ma non fanno nulla per modificare alcunché. Ma ciò nonostante la maggior parte si rendono conto che c’è qualcosa di sbagliato nel modo in cui impostano la loro vita e che hanno bisogno di aiuto nella loro infelicità. Ogni qualvolta si sono trovate di fronte ad una situazione ansiogena, hanno evitato di risolverla e si sono abbandonate ad un’abbuffata; non sono disposte a fare a meno di questa via di scampo in cambio del vantaggio, apparentemente dubbio, di vivere una vita meglio impostata. Ma alla fine devono affrontare le questioni di fondo, e quanto più presto si interrompono le manovre ingannevoli, tanto maggiori sono le speranze di una vera risoluzione della malattia.