CIBO E DISTURBI ALIMENTARI
Nei disturbi alimentari il sintomo e il problema cibo, nonostante la sofferenza che possono portare, sono vissuti come degli alleati e si fa una gran fatica a prenderne le distanze. Il cibo nei disturbi alimentari diventa un amico-nemico con cui si vive una ambigua e duplice relazione: da un lato è ciò che tranquillizza, anestetizza, calma e lascia nell’oblio tutto il resto dei problemi (sia nella dimensione dell’evitarlo come nell’anoressia o nelle forme restrittive, che in quella dell’alimentazione compulsiva), dall’altro è un nemico pericoloso, qualcosa che può far perdere il beato controllo, che può sfuggire di mano e uscire dalla dispensa “divorandomi”. Il sintomo alimentare protegge, dietro al cibo si celano vissuti faticosi e difficilmente affrontabili, ciò che fa più paura si nasconde dentro ciò che si mangia o non si mangia. La vittoria sulla fame, il digiuno, l’iperattività, l’abbuffarsi sono vissuti come gratificanti: nel momento in cui non si controlla più nulla e tutto va male (o perlomeno non come si vorrebbe) almeno il cibo lo si può controllare, così come il corpo. Dietro ai disturbi alimentari c’è una fame inappagata, quella fame di riconoscimento, di valere, di affetto che nessun cibo potrà saziare. Allora meglio il sintomo che il nulla, meglio digiunare o abbuffarsi che fare i conti con la propria sensazione di pochezza, con il vissuto di non valere niente o almeno mai abbastanza. Spesso le persone con disturbi alimentari dicono: “Senza anoressia non saprei chi sono”, “Senza questo corpo così magro non starei bene”, “Senza l’abbuffata non saprei come stare meglio”, “Senza questo corpo obeso non mi riconoscerei più”: queste parole fanno capire come l’esperienza dei disturbi alimentari ruoti intorno ad una giustificazione del sintomo e una difficoltà ad abbandonarlo per ragionare sui motivi che hanno portato a rifugiarvisi. Così spesso si sente dire di aver paura di tornare a mangiare normalmente oppure di non riuscire ad immaginare una vita senza il problema cibo. La cura passa attraverso la fatica di lasciare che il cibo perda la sua importanza, che torni ad essere un alleato, un amico, ruolo che invece viene preso dal sintomo: mangiare fa paura, invece la restrizione fa stare bene; mangiare bene fa paura, invece la perdita di controllo nell’abbuffata dà l’illusione di far stare bene. Grazie ad un percorso terapeutico, la fame smette di essere infinita, il cibo cessa di terrorizzare, il cibo torna ad essere alimento nutritivo e basta. Per far questo è necessario affrontare insieme al terapeuta ciò che veramente terrorizza e che si tentava di tenere nascosto, silenziosamente a bada, dietro ai disturbi alimentari.
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