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CIBO E DISTURBI ALIMENTARI

CIBO E DISTURBI ALIMENTARI

Fra le attività umane l’alimentazione occupa un posto del tutto particolare. Se ci fermassimo un attimo a riflettere sui tanti modi in cui ci si alimenta ci troveremmo di fronte a una quantità sbalorditiva di occasioni, rituali, cerimoniali. Il cibo non riveste solo e semplicemente una funzione biologica ma acquisisce molteplici e svariati significati: edonistici, relazionali, sociali, culturali, artistici, estetici, filosofici, religiosi, psicologici e persino psicopatologici. Si mangia per stare insieme e si sta insieme per mangiare. Non si conoscono culture in cui i pasti non assumano questo aspetto per così dire comunitario. Nelle società primitive preparare e consumare i pasti collettivamente dava il senso e la misura dell’unione del gruppo, dei legami e delle gerarchie esistenti tra i vari membri della tribù. Ancora oggi mangiare insieme riveste il valore simbolico dell’unione, della relazionalità e della convivialità. Anche i momenti e i passaggi importanti nella storia delle singole persone venivano e vengono tuttora scanditi dal cibo. Si banchetta alla nascita di un figlio, si fa lo stesso quando questi si sposa, e in alcuni paesi perfino dopo la morte di un congiunto si celebrano banchetti. Il cibo e l’alimentazione quindi hanno assunto un altissimo valore simbolico per l’intera umanità.

Ogni attività umana, in tutte le culture, è stata ed è scandita dal cibo. Il cibo e il modo di consumarlo hanno per l’umanità un enorme valore simbolico. Il rapporto con il cibo non è variabile soltanto sotto il profilo socioculturale; lo è anche storicamente. La moda, la cultura, gli orientamenti valoriali e filosofici di un determinato periodo vengono riportati sulla tavola. Negli ultimi due-tre decenni il rapporto con il cibo è in qualche modo mutato: ci si alimenta in fretta e tra un impegno e l’altro, si sta molto più attenti alle calorie che si assimilano e a consumare cibo sano, i pasti che si consumano a tavola (eccetto forse in alcuni momenti più importanti dell’anno) non hanno più il carattere di convivialità e di gruppo che avevano un tempo. Spesso i pasti, anche quando sono consumati comunitariamente, non sono esperienze di relazionalità e di comunicazione reciproca. Il cibo ha forse perso il suo carattere conviviale? Quale valore allora assume oggi? Forse quello di strumento in grado di riempire un vuoto che l’esistenza non riesce a dare? Oppure di oggetto consolatore o di strumento per affrontare il male di vivere, in qualunque forma lo si sperimenti?

In tempi di drammatica povertà grasso era sinonimo di bello perché segno di ricchezza e benessere non solo alimentare. Dalla rivoluzione industriale dilaga un nuovo modello: quello della magrezza. Dagli anni sessanta-settanta il modello magrezza inizia a propagarsi sempre di più e il rapporto con il cibo si inverte: alla paura atavica per la fame si sostituisce la moderna paura per l’eccesso e l’abbondanza. Si fa sempre più strada un termine prima quasi sconosciuto: dieta. La parola dieta, inventata dai greci per designare il regime quotidiano di alimentazione (ma più in generale di vita) che ogni individuo deve costruire sulle proprie personali esigenze e caratteristiche, è passata a designare nel linguaggio comune la limitazione, la sottrazione di cibo. Alla paura della fame che per moltissimi anni ha accompagnato l’umanità, portanto con sè sofferenze organiche e psichiche, si è andata sostituendo un’altra paura: la paura per l’abbondanza, il grasso, il peso, fear of obesity. Anche questa paura non è meno pericolosa di quella che l’ha preceduta: pure essa è causa di sofferenze fisiche e psichiche. Alle sofferenze causate dalla fame e dalla miseria, si sono sostituiti altri disagi psicologici in cui la fa da padrone il terrore del grasso: i disturbi del comportamento alimentare, anoressia, bulimia, obesità e binge eating. Ma fortunatamente essi sono superabili, con fatica e molti sforzi però, perchè il cibo c’è sempre, è un amico-nemico sempre disponibile e onnipresente, quindi se rappresenta il problema della propria esistenza ci vuole un coraggioso lavoro di riappacificazione con esso.

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