COPPIA E DIFFICOLTA’
Noi siamo le nostre storie, i racconti di quello che ci è successo. Ma non sono solo i ricordi a sostenere il nostro senso di essere persone. Il passato è troppo sfaccettato e pieno di dettagli. Per avere un sé abbiamo bisogno di un protagonista, di qualcuno che fa le cose e a cui le cose accadono. Il passato deve essere organizzato in una narrativa, o in più narrative alternative. Senza storie non esiste alcun sé. Le proprie storie possono essere narrate in molti modi e per molti scopi diversi. A volte una persona racconta la sua storia per stimolare in chi la ascolta sentimenti particolari: ammirazione, eccitazione, attivazione, comprensione o pietà. A volte lo fa per spingere chi ascolta ad agire, per stimolarlo. E naturalmente ognuno di noi ha molte storie da raccontare, le nostre vite sono piene di esperienze di ogni tipo.
Per la maggior parte di noi, il nostro destino amoroso, il racconto della nostra vita affettiva, è una narrativa centrale e ricorrente nelle storie che raccontiamo agli altri e in quelle che raccontiamo a noi stessi per mantenere un senso di chi siamo. E nessun racconto romantico, se vogliamo evitare che degeneri in una favola (e vissero felici e contenti), può essere privo di dolori, danni e perdite. Nell’amore, come nella vita in genere, forse non c’è modo migliore per determinare la propria identità e simboleggiare la propria unicità che catalogare le cicatrici che sono le conseguenze e i promemoria delle offese subite nel passato.
Il processo terapeutico può essere descritto come l’esposizione e la considerazione di queste cicatrici, di queste vecchie ferite, di questi scontri con la vita che ci hanno provocato dei danni. “Guarda che cosa mi è successo!”: quando si mostrano le cicatrici e le offese subite nel passato e nel presente, la domanda “perché?” non è mai troppo lontana. Perché è successo? La persona ha bisogno di rispondere a questa domanda per dare un senso al proprio passato, per spiegare il presente e per orientarsi rispetto al futuro. E le risposte al perché tendono a gravitare verso due poli contrastanti: “questo danno mi è stato inflitto senza che io avessi nessuna colpa” o “la colpa di questa sventura è mia”. Di conseguenza, le nostre storie sono ordinate attorno alle dimensioni dell’autocommiserazione e del senso di colpa.
Nei racconti degli amori, nei resoconti del proprio destino amoroso, l’autocommiserazione prende la forma della vittimizzazione. “Lei mi ha fatto un torto” è il tema centrale. L’autocommiserazione organizza le storie delle relazioni passate e presenti: gli amori in cui si è stati traditi e abbandonati, e le relazioni in corso in cui si vive con una perenne sensazione di delusione e rinuncia. In altre storie, il senso di colpa suggerisce un tradimento operato non dall’altro ma da se stessi: “Sono stato uno stupido” è il tema centrale. Anche il senso di colpa organizza spesso le storie delle relazioni passate: la mia mancanza di fede e devozione hanno allontanato il vero amore. E spesso organizza anche le storie delle relazioni presenti: una persona vive con la continua sensazione di indegnità, di non meritare un amore che è a portata di mano ma non può essere goduto.
Nei litigi tipici di una coppia, entrambi i partecipanti evidenziano la loro vittimizzazione e minimizzano la loro partecipazione attiva, e in questo modo elaborano l’autocommiserazione ed evitano il senso di colpa. La capacità della coppia di farsi strada riconoscendosi sia vittime che carnefici può sbloccare questi litigi e favorire un superamento dei conflitti.