DCA: COME CONVINCERE A CURARSI
Questo articolo potrà essere di interesse a quei genitori, mamme, papà, sorelle, fratelli, amiche, zii, eccetera, di persone che soffrono di disturbi del comportamento alimentare: a volte familiari e conoscenti di qualcuno che soffre di anoressia, bulimia o alimentazione incontrollata mi scrivono per sapere o avere un consiglio su come fare per convicere questo qualcuno a farsi curare. Spesso la persona in causa, magari solo agli esordi del sintomo, che mostra soltanto qualche avvisaglia poco preoccupante di un possibile problema col cibo, nega categoricamente che il discorso cibo sia un problema, che la sua alimentazione è perfettamente normale e senza difficoltà, che non necessita quindi di nessun aiuto. Inutile dire che queste negazioni ad altro non servono che a proteggere il suo sintomo, dietro al quale -chi legge questo blog ben sa- si nascondono mille altri problemi, e affrontare il capitolo alimentazione significherebbe mettere allo scoperto gli altri disagi: capire perché diavolo in questo momento della mia fase esistenziale ho proprio bisogno di restringere l’alimentazione, non posso fare a meno di sentirmi magra (vedermi è un altro discorso…), devo avere tutto sotto maniacale controllo, non riesco ad evitare di vomitare se mi sembra di aver mangiato troppo, o al contrario perché ho bisogno di abbuffarmi, di mangiare in modo sregolato con la triste sensazione di perdere il controllo, nella speranza che il cibo cancelli i miei pensieri negativi, ma con il risultato evidente poi di stare malissimo, attanagliato dai sensi di colpa, e mando tutto all’aria, e mi dico “da domani basta”, invece il giorno seguente continuo sulla stessa strada della “perdizione” continuando ad autosabotarmi e a stare male. Ecco, sarebbe molto facile e così a portata di mano riflettere su cosa ci sta sotto a questi meccanismi malati, iniziare un personale lavoro di scoperta e di presa di consapevolezza dei propri buchi neri, delle proprie fatiche, dei propri limiti, di ciò che di sé non si riesce ad accettare. Ma è molto più facile, veloce e rassicurante rifugiarsi dietro al sintomo, chiudere tutti i problemi irrisolti o forse oscuri persino a se stessi, nella bella e dolce scatola del disturbo alimentare, mettere ogni cosa che non va e far star male sotto la coperta di nome anoressia, bulimia, binge. Allora i cari genitori e amici iniziano ad allarmarsi per la perdita di peso, per gli strani comportamenti alimentari, per le bizzarre abitudini culinarie, per gli insoliti atteggiamenti relativi al cibo. Forse con la figlia inizia una battaglia col cibo e sulla tavola, ogni pasto diventa una guerra, motivo di tensione e dispute, le domande più frequenti e pressanti diventano “hai mangiato?, ma sei dimagrita?” oppure “non è il caso di metterti a dieta?, sei ingrassata?”, e ancora “mangia!” o al contrario “basta mangiare”. Di fronte alle negazioni della cara ragazza/o di affrontare l’argomento e al rifiuto ostinato non solo a farsi aiutare ma persino al fatto che il cibo sia un problema, come fare? Come agire? Potete intraprendere la strada del terrorismo psicologico, mostrare video su youtube di persone arrivate al culmine della malattia, come quello di Valeria Levitina la donna più anoressica del mondo, o quelli di persone obese che nemmeno riescono ad alzarsi dal letto, ma dubito che otterrete l’effetto desiderato che la vostra amata/o si decida a curarsi. Lei non è mica malata, non è così magra/grassa, ha tutto sotto controllo, sta solo facendo una dieta o mangiando un po’ troppo…Purtroppo le vostre battaglie continueranno, se continuate a toccare il discorso cibo-alimentazione non ne caverete un ragno da un buco, e tutto continuerà a girare in un loop senza fine, finché sarà forse troppo tardi, e la malcapitata starà davvero male, e i circoli viziosi legati al sintomo non troveranno termine. Potete invece cercare un dialogo che parta proprio da cosa ci sta sotto, cosa si cela dietro quel benedetto sintomo che voi intravedete con tanta paura: cercare di mettervi voi in discussione e proporre una cura che includa voi stessi nel percorso. Forse insieme sarà più facile farsi aiutare, partendo dal punto che “sono io ad avere bisogno di aiuto, vieni con me a vedere cosa possiamo fare!”.
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