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L’ATTESA NEL BAMBINO

L’ATTESA NEL BAMBINO

I bambini piccoli vivono intensamente nel qui e ora. Hanno un senso del tempo molto soggettivo e slegato dalla realtà. Aspettare costa loro fatica e ne sono pressoché incapaci; vogliono gratificazioni istantanee che in parte sono di natura fisica. Un bambino affamato diventa capriccioso, noioso e fastidioso. La trasformazione che avviene dopo il pasto ha qualcosa di miracoloso: il bambino diventa allegro e simpatico. Anche un bambino che cova una malattia può avere all’inizio un comportamento irritabile. Solo quando la malattia si manifesta sappiamo a cosa era dovuto il malumore. (Dopo ripetute esperienze, ho deciso che un comportamento irritabile è un ottimo strumento per diagnosticare una malattia!).

Quando un bambino non ottiene quello che vuole ha la sensazione che l’attesa gli faccia male. È in parte una sensazione realistica, basata sulla sua esperienza che verte su di un totale egocentrismo, ma deve anche imparare che ogni tanto aspettare non guasta, che sopravviverà alla prova e ai sentimenti negativi suscitati in lui dall’attesa. A volte la reazione del bambino è tale che la madre, temendo che non possa tollerare l’attesa o non riuscendo lei stessa a tollerare l’impazienza del figlio, interrompe qualunque cosa stia facendo per precipitarsi da lui. Se l’esperienza dell’attesa si ripete più volte e ha una durata tollerabile, il bambino si abitua e acquisisce fiducia nella propria capacità di cavarsela da solo. È sempre importante che l’adulto dia un nome alla fatica e alle emozioni del bambino (“Accidenti è proprio una faticaccia dover aspettare, ti fa molto arrabbiare che non vengo subito eh?”), così che egli impari a riconoscere tali vissuti e a gestirli.

Se una madre si considera crudele perché fa aspettare il figlio, è possibile che abbia una forte identificazione con lui e assecondi in realtà il proprio lato infantile. Se voi trovate molto penosa l’attesa, difficilmente riuscirete a trasmettere a vostro figlio un’immagine diversa. Un altro ostacolo è il senso di colpa. È capitato a molte madri di sgridare severamente il figlio e di sentirsi in colpa perché si teme di averlo ferito e di aver aggiunto alla fatica di attendere anche l’infelicità per essere stato sgridato. Si ha quasi la sensazione che dire no, fissare dei limiti sia pericoloso. Invece, è proprio l’opposto, è dannoso non farlo. Il bambino che non sa aspettare è alla mercé delle sue emozioni, che sono molto intense, e può sentirsi profondamente triste. Insegnargli poco alla volta a tollerare l’attesa può aiutarlo ad arginare questi sentimenti, altrimenti si può sentire pieno di una furia selvaggia che non viene mai domata. Bisogna riconoscere la fatica del bambino e darle diritto di cittadinanza, spiegando però che è importante per lui imparare ad aspettare, che tante volte nella vita sarà costretto a farlo, che noi lo capiamo ma è meglio che impari da subito gli strumenti adatti a sopportare questa cosa fastidiosa e queste emozioni così sgradevoli.